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Archivio del mese di Ottobre, 2010

Lettera semiseria alla Sinistra e alla Destra italiane

Lettera semiseria

alla Sinistra e alla Destra italiane

 

Permettetemi, onorevoli deputati e senatori del Parlamento italiano, ch’io v’indirizzi codesta mia epistola a imitazione di quella con cui circa due secoli or sono un illustre poeta esortava i letterati del suo tempo – divisi fra neoclassici e romantici – a deporre le loro liti e le loro discordie nel nome di una Patria comune.
Precipuamente mi rivolgo a voi, eccelse menti della Sinistra, significandovi innanzitutto i segni della mia più viva ed eterna riconoscenza per gli alti insegnamenti di amor patrio, di verità, di carità, di tolleranza, di moralità e di giustizia che sempremai mi avete generosamente elargito nel corso della mia non immodesta esistenza, come che io, conciossaché di piccola levatura uomo mi sia, mal mio grado pei triboli fuorviato per tal conveniente da voi disconsentire non ardisca.
Troppo lungo mi sarebbe elencare le numerose benemerenze vostre, le tappe luminose del vostro cammino, le conquiste da voi realizzate in ogni campo dell’umana attività, ma io non sono all’altezza nemmeno di allacciare i lacci delle vostre scarpe gloriose, che tanta strada percorsero tra il soffiare del vento e l’infuriare della bufera, avanti, sempre avanti verso il sole radioso dell’avvenire; voi che in tutte le cose sempre vi moveste e vi movete per primi, non già per presunzione, per spirito di parte o per la smania di attaccar briga, ma perché voi siete previdenti e lungimiranti, tantoché in sui primi anni del primo dopoguerra, voi, che vedete le cose avanti ch’elle nascano, ben fiutaste per primi a quale rovina il regime che ancora non era nato avrebbe condotto il Paese, e non domani o dopodomani ma da lì a venti e più anni, e perciò prendeste l’iniziativa, al solo e unico scopo di prevenire gli attacchi dei vostri avversari, ché se le loro erano “spedizioni punitive” le vostre erano “azioni preventive”. Fu lì che ebbe la sua origine quell’odio che ancor oggi divide e travaglia il nostro bel Paese, e che alcuni gazzettieri, asserviti ad un usurpatore che mina alle radici la democrazia e la libertà, attribuiscono al clima che voi medesimi avreste determinato, quasiché voi, anime elette e giuste, fomite foste d’odio e di veleno, voi che d’altro mai non vi curaste se non del bene della collettività, alieni da interessi personalistici come dalle beghe e dalle risse comaresche che riempiono gli studi delle nostre reti televisive, dove altro non studiasi se non di primeggiare con l’insulto e la parola volgare.
Io quando vedo nei nostri quotidiani dibattiti la compostezza vostra, la vostra affabilità e disposizione ad un discorrere sereno, civile, costruttivo e tollerante delle opinioni altrui, la vostra apertura mentale e la vostra pazienza, che vi fa attendere in silenzio, senza minimamente interferire, mentre i vostri avversari, con quell’aria di eterne primedonne, son sempre lì a rimbeccare e ad insultarvi, se di ciò da un lato provo amarezza e vergogna, dall’altro mi conforta la speranza che a lungo andare il vostro esempio finirà col prevalere, dacché voi in ogni momento, in ogni caso e in ogni occasione, con l’aiuto provvidenziale della Giustizia, avete sempre dimostrato quanto si debba amare la terra che ci generò. La patria, dico, non gl’interessi personali o di partito, non le donzellette che vengono dalla campagna o dalla città, non i legami, le collusioni con associazioni pervertite e mafiose che mirano a distruggere lo Stato e la nazione tutta.

Nella vostra storia, invece, non ci sono donzellette, non ci sono case rubate e conflitti d’interesse, anche nel parlare il vostro linguaggio è pulito e misurato, quando, pur se provocati dai vostri avversari, voi non scivolate mai sul loro stesso terreno, non li mandate a farsi fottere (termine di pretta marca fascista al pari di “me ne frego”), quel linguaggio a voi non è mai appartenuto, dacché fin dai primi anni del primo dopoguerra le vostre assemblee, le vostre piazze erano un modello di moderazione sì sul piano della lingua sì su quello del gestire. Sono loro che in tutto hanno sempre cominciato e cominciano sempre per primi.
O menti abbrutite dall’odio, o uomini rozzi, ignoranti, arroganti, intolleranti e razzisti, che ingrossate le file di una Destra rissosa e raffazzonata, che dirò ora di voi? Guardatevi allo specchio, rivedetevi su quegli schermi, fatti da voi degli scherni, tribune di dileggio e strumenti di abominio e di prevaricazione, guardate quanto siete altezzosi e prepotenti, sempre pronti ad intervenire, a rimbeccare, ad offendere, con sulle labbra un risolino ironico e con la testa che fa continuamente no no, come a dire: “Ti sbagli, ti sbagli! Sta’ zitto tu che non capisci niente, vieni a lezione da me che t’insegno io come si governa”. A che v’immischiate in faccende che non vi competono, a che gettate lo scompiglio nel campo avverso quando già siete in discordia fra voi? Ammirate i vostri avversari, che davvero da ospiti si comportano in quei dibattiti, non da padroni di casa, sempre sereni e rispettosi del pensiero altrui. Ma voi odiate i diversi, e in ciò perpetuate l’assurda e diabolica dottrina di una supposta purezza della razza, che tanto danno ha procurato nel mondo.
Non potremo dunque mai avere una patria comune, un comune sentire, se non altro a conforto delle no-stre comuni sciagure? Perché tanto disprezzo? Fate di piacere non solo al popolo vostro, che già vi segue, ma soprattutto a quello che potrebbe seguirvi domani, pascetelo di parole oneste e sincere, non di calunnie e di vento.
A che miri la parola mia voi lo sapete, perciò fatene senno e non permettete che codesto odio si sfoghi al vento. So che a tutti piace di onestare la loro disponibilità alla concordia con dei bei paroloni. Ma io non farò alcun conto di chiunque vada ritessendomi la solita canzone che l’Italia è un armento di venti popoli divisi l’uno dall’altro e che non c’è niente da fare. Se siete caldi di vero amore per la vostra bella Italia, levate l’orecchio e ascoltate. Udite come tutta quanta l’Europa e il mondo intero ne rinfaccia il presente decadimento della politica nostra. Fermatevi, in nome di Dio! Ponetevi una mano al petto, interrogate la coscienza vostra. E non la sentite anch’essa tremar di vergogna?
Ponete dunque fine agl’insulti villani, con che vi strapazzate fra voi, con che ne strapazzano quei popoli stessi che un tempo, o ne lodavano, o taciturni rodevansi d’invidia per i nostri trionfi. Alle calunnie non state ad opporre altro che la dignità del silenzio, e cadranno di per sé. Ma degli altri giovatevi, giovatevi comunque, e non li beffate. E recuperate la gloria della vostra terra col fare, non con il dire. Siate uomini, non cicale, e tutto il popolo intero vi benedirà. Non raccogliete gli appelli di certi lillipuziani, i quali, non trovando altro modo di scuotersi giù dalle spalle l’oscurità che li avvolge, si dànno a parteggiare nel seno della loro patria e van diffondendo, non solo entro le mura della casa comune ma anche fuori, nei paesi d’oltralpe e d’oltre oceano, prezzolando gazzette straniere, la sentenza universale di un’Italia sfasciata, in preda alla più sfrenata licenza. Emarginate codesti Cerberi esagitati che con la bava alla bocca, gli occhi fuori dalle orbite e gli artigli pronti a ghermire vogliono tutto distruggere, gettando benzina sul fuoco, e vedrete che riprenderanno modestia e abbasseranno i toni, inchinandosi alla suprema necessità. E più non parleranno col disprezzo che usano non solo verso gli avversari ma coi loro stessi compagni di strada.
Imparate giustizia, ma sia la vostra una giustizia giusta, che operi sui fatti concreti, non sui sospetti, sulle supposizioni e sui teoremi; e senza il supporto di sicofanti, di pentiti e di spie.
Per l’onor vostro intanto e per il mio, nonché per quello della patria nostra, vi scongiuro ad usar bene del tempo che vi resta, del tempo, dico, che da indi innanzi correrà insino alle prossime consultazioni elettorali.