Il primo agosto
Il primo agosto
E fu. Come l’ignobile
verdetto venne ordito
e il Cavaliere indomito
rimase sbalordito,
così percosso, attonito,
il Pdl sta,
pensando alla sua prossima
battaglia elettorale,
né sa se un altro simile
leader così geniale
il carisma del principe
ereditar saprà.
Lui, governante insolito,
guidò l’Italia e piacque,
e quando alle politiche
per un pelo soggiacque
il suo fedele popolo
mai non lo abbandonò.
Privo di lodi ipocrite
e di volgare oltraggio,
insorge al capitombolo
di un tale personaggio
e gli rivolge un cantico
che lo consolerà.
Da quando in quel di Napoli
lo colse il noto avviso
che lo voleva espellere,
umiliato e deriso,
una giustizia barbara
contro di lui scattò,
e s’avviò per gli equivoci
sentieri del sospetto,
delle presunte ipotesi,
dei titoli ad effetto
di una Stampa malevola
che ignora l’onestà.
Fu mera boria? Ai posteri
l’aspra sentenza. Noi
chiniamo il capo al massimo
dei nostri eletti eroi
che tanto amore patrio
nei cuori c’inculcò.
L’appassionata e trepida
gioia di un gran progetto,
l’ansia di chi il suo popolo
guida con tanto affetto
e lo conquista e l’anima
di forza e volontà;
tutto provò: la gloria
del capo di Governo,
le offese dei malevoli,
le oscenità, lo scherno,
l’odore della polvere
gli onori dell’altar.
Si presentò: due popoli,
l’un contro l’altro armati,
verso di lui si volsero,
divisi e scatenati.
Lui vinse e come un arbitro
fra loro si piazzò.
E governò, mirabile
in tutto l’Occidente,
segno d’immensa invidia
e di un amore ardente,
di un odio inesorabile
e di un sordo rancor.
Come sul tronco intrepida
si accanisce la scure
e la lama, implacabile,
senza indugi o paure,
lo frantuma e lo spappola
senz’alcuna pietà,
tale su Silvio il cumulo
dei suoi ricordi scese.
Oh quante volte agl’intimi
narrò le ingiuste offese
e a fatica le lacrime
sulla soglia fermò.
Oh quante volte al termine
d’una lunga giornata,
chiuso al sorriso, estraneo,
con la faccia tirata,
meditò di soccombere
a quel lungo patir.
E ripensò l’ignobile
canea della Giustizia,
le tavolate ad Arcore,
prive d’ogni malizia,
le amichette che un giudice
lascivo incriminò.
E l’ennesima bufala
d’una frode fiscale
mai provata, ma logica
soltanto perché tale
è il parere, opinabile,
del Grande Accusator.
Ma lui, che versa il massimo
alle casse statali,
che fra quelli che pagano
di certo non ha uguali,
per pochi soldi spiccioli
faceva l’evasor?
E chi potrebbe crederlo?
Se solo un’opinione
è quella di quel giudice
che non sente ragione,
la prova inconfutabile
della frode dov’è?
Insomma, quale credito
può darsi a una Giustizia
che fra sospetti e ipotesi
i suoi processi vizia,
che poggia sul malanimo
e la faziosità?
Su Silvio s’imbastirono
ben cinquanta processi:
quaranta si disfecero
per fatti non commessi
e gli altri risultarono
privi di verità.
Eppure a tanto strazio
non cadde il Cavaliere,
né disperò. Ma eccoti
che venne il giustiziere
e finalmente al carcere,
ahimè, lo condannò.
E però c’è da chiedersi
quale credito abbia
una sentenza anomala
scritta con odio e rabbia
da un giudice malevolo
che al posto suo non sta.
Che prima di decidere
ha offeso l’imputato
con ingiuriosi termini,
ed ha perciò viziato
la sentenza medesima
che in piedi più non sta.
E che dire, se è lecito,
della motivazione
sbandierata in anticipo,
quando l’alta funzione
a cui chiamato è il giudice
gl’impone di tacer?
Ce n’è per un’indagine
della magistratura.
Ma comunque si regoli
l’Ordine o la procura,
il suo buon nome il giudice
ormai l’ha perso già.
Brutta, immoral, malefica
Giustizia ai giusti avversa,
scrivi anche questo e medita
che l’occasione hai persa
per dimostrare agli uomini
la tua serenità.
Tutto questo malanimo
è un fatto criminale.
Ma Dio, che attento vigila
e vede il bene e il male,
quella sentenza incauta
saprà come aggiustar.
Mario Scaffidi Abbate
5-7 agosto 2013
mario.scaffidi@alice.it
Pubblicato il: in Senza categoria.
Commenti: nessuno
Scrivi un commento