La terra dei beccamorti
La terra dei beccamorti
Alle anime belle
della Sinistra italiana
Mario Scaffidi Abbate
A voi, tarme d’Italia,
muffe dalla matrice,
diede fiele la balia,
anzi, la levatrice.
Con voi spreca il Governo
parole di disgelo:
per voi c’è solo scherno,
questo è il vostro vangelo.
Incominciaste voi
nel primo dopoguerra,
insultando gli eroi,
prendendovi la terra,
inquinando i canali
e gli abbeveratoi,
massacrando animali,
mucche, pecore, buoi.
Violenti ed efferati,
nelle vostre schermaglie
strappavate ai soldati
dal petto le medaglie.
Prendevate a legnate
anche i carabinieri
(e pure oggi fate
quel che faceste ieri).
Un giorno un aviatore
andava lungo un ponte
stringendo il tricolore,
alta e fiera la fronte,
quando un branco di lupi
gli tolse la bandiera,
con gridi osceni e cupi,
lo spinse alla ringhiera
scagliandolo al di là.
Lui si aggrappa ai tiranti,
speranza più non ha,
ormai non ci son santi.
A vicenda quei cani
coi piedi gli van su,
gli pestano le mani,
e lui scivola giù.
Dopo una settimana
due giovani studenti
nei pressi di Sarzana
con accette e tridenti
vennero fatti a brani
e poi selvaggiamente
gettati come cani
dentro l’acqua bollente.
E le aziende incendiate
con i loro padroni?
Le fabbriche occupate,
e le devastazioni?
Incominciò così.
I primi foste voi:
facevate gli eroi!
Questo il vostro abbiccì.
Gli altri vennero dopo,
muovendo alla difesa,
visto che il solo scopo
era per voi l’offesa.
Del resto allora Croce
e molti antifascisti
non davano la croce
solamente ai fascisti.
Il grande liberista
chiamava, com’è noto,
“grande industria del vuoto”
la scuola socialista,
che senz’alcun costrutto
faceva tanto chiasso,
perché aveva distrutto
ma non muoveva un passo.
Proclamaste in un anno
più di mille serrate:
chi si opponeva al danno
era preso a legnate.
Con un piano insensato,
contrastando il destino,
spianavate il cammino
al ras di un altro Stato.
“Faremo come i russi,
come Lenìn faremo!”
era, fra botte e bussi,
il vostro grido estremo.
Fu questa l’atmosfera
in cui nacque il Regime:
altra strada non c’era,
non ci sono altre rime.
Poi, caduto il fascismo,
con mille astuzie ed arti
invertiste le parti:
eroi del vittimismo,
riscriveste la Storia,
capovolgendo i fatti,
mutando i savi in matti,
a vostra eterna gloria.
Riempiste allo scopo
volumi su volumi,
faceste prima il dopo,
spargeste nebbie e fumi.
C’impartiste lezioni,
faziosi e sbrigativi:
voi tutti quanti buoni,
gli altri tutti cattivi.
Poveri illusi, nati
dall’odio di Caino,
quali funesti fati
vi riserva il destino!
O anime malnate,
che ci fate quassù?
Andate via, tornate
nel numero dei più!
D’una siffatta gente
non si cura la Storia:
non si raggiunge niente
con l’astio e con la boria.
A voi non giova il mondo
delle oneste parole:
statevi giù nel fondo,
dove non batte il sole.
Come tutti i falliti,
il bagaglio portate
di vecchi e falsi miti,
e su quelli campate,
montando con l’inganno
sull’asse ereditario
dodici volte all’anno
il vostro anniversario.
La vostra civiltà
si vede dalla stampa
di quei signori là
che l’astio e l’odio avvampa.
Scrivi scrivi e riscrivi:
“Quei porci moriranno!”.
Ma loro restan vivi,
voi sempre nell’affanno.
O menti inacidite,
piovute qui per sbaglio,
con che boria venite
tra i vivi allo sbaraglio?
Istigate, furenti,
il volgo ottuso e scemo,
e subito i dementi
compiono il gesto estremo.
Il libro di natura
ha l’entrata e l’uscita:
a chi tocca la vita,
a chi la sepoltura.
Voi, invece, pensate
di durare in eterno,
ma poi più non campate
che un’estate o un inverno.
A che giova gridare,
fare gazzarra, offendere?
Meglio pazienti attendere
per poter governare.
Siete sempre in campagna
elettorale: il plauso,
il vero e schietto plauso,
così non si guadagna.
Non basta che godiate
del favore dei guitti,
degl’intellettuali,
sempre più derelitti,
dei liberi docenti
che fanno gli studenti
sempre meno sapienti
coi loro insegnamenti.
Ma poi cosa volete?
A conti fatti, voi
contate più di noi
nelle stanze segrete:
se la Destra amministra
il potere legale,
il potere reale
sta in mano alla Sinistra.
Sono in vostra balìa
tutti i gangli vitali
della burocrazia:
le scuole, i tribunali,
la stampa, l’edilizia,
lo sport, la sanità,
la buona società,
persino la Giustizia.
Ed è con questa, infatti,
che minate il potere,
inventando misfatti
tutti da rivedere.
O giudici inquirenti,
che ogni giorno spiate
i nostri sentimenti,
se la Legge, scusate,
la date in subappalto,
a pentiti e guardoni,
voi non volate in alto.
Voi non siete i campioni
di quell’autonomia
che ogni giorno invocate:
tra verità e bugia
voi vi barcamenate.
Che direste, o potenti,
se ciascuno di noi
gridasse ai quattro venti
ciò che pensa di voi?
Vi dite progressisti
e siete proprio voi,
retrivi e disfattisti,
che predicate a noi;
che in pratica, scusate,
non volete il progresso
e con tali minchiate
fate il popolo fesso.
La vostra strategia
ogni governo ammazza:
ostruzionismo, piazza,
tribunali, anarchia.
Voi volete il dialogo,
ma soltanto a parole,
o col vostro decalogo:
è chiaro come il sole.
Denunciate l’azzoppo
del Parlamento, e poi
gli create ogni intoppo:
tiranni siete voi!
Cavalcate gli errori
dell’emergenza Abruzzo:
fate come lo struzzo,
non vedete il di fuori.
Quando scoppia un malanno
come si può si fa.
Nel Ventennio in un anno
sorsero due città.
L’Italia grazie a voi
è un paese allo stallo:
sempre davanti a noi
il semaforo è giallo.
Vi vantate custodi
della Costituzione,
ma intanto in tutti i modi
cercate il ribaltone.
Quando vi vedo irridere
la Destra nell’arena
più che farmi sorridere
mi fate una gran pena.
La vostra ira epilettica
è fuori dalla Storia,
ché la Storia è dialettica,
ma senza spocchia o boria.
Ormai non c’è speranza
che voi vi ravvediate,
per voi lotta ad oltranza.
Insultate, insultate!
Son queste le ragioni
per cui, a conti fatti,
perdete le elezioni.
O siete scemi o matti.
Fate lo sciacallaggio
coi vostri quotidiani,
poi avete il coraggio
di dire: “Se quei cani
osano criticarci
lo sai cosa facciamo?
Senza manco pensarci,
noi quelli li sbraniamo!”.
E infatti i vostri padri
nel secolo trascorso,
giocando a guardie e ladri,
staccato con un morso
a un fascista un orecchio,
si misero a gridare:
“Datemi quell’orecchio,
che lo voglio mangiare!”.
Non entro nel dettaglio:
fra bombe, asce e forconi,
vi portate un bagaglio
di tali proporzioni
che ci vorrebbe un anno
per raccontarla tutta.
Basta con questo inganno:
ormai siete alla frutta.
Se la Destra condanna
gli errori del passato,
ma nondimeno osanna
il bene che c’è stato:
“Qui si offende”, gridate,
dei morti la memoria!
Parole scellerate,
è un insulto alla Storia!”.
Ma dei morti ammazzati
dal comunismo niente:
“Se mai ci sono stati,
fu solo un incidente”.
Via, non facciamo i tonti,
mettiamo tutto in piazza
e poi facciamo i conti:
vediamo chi più ammazza.
Definite il fascismo
come il male assoluto,
ma il vostro comunismo
fu solo uno starnuto?
Per voi quello che dice
la Sinistra è vangelo,
se lo stesso lo dice
la Destra è uno sfacelo.
Quel che promette e giura
la Sinistra è verismo,
se invece lo assicura
la Destra è populismo.
Chi la Sinistra vota
è colto e intelligente,
altrimenti è un idiota
che non capisce niente.
Eppure gl’Italiani
sono metà e metà:
gli stupidi e gl’insani
stanno di qua e di là.
Chi diserta da voi
è un compagno che sbaglia,
chi diserta da noi
merita la medaglia,
perché da voi risiedono
giustizia e verità,
da noi solo si vedono
menzogne e oscenità.
Se circola una voce
su certi nostri affari
ci gettate la croce,
sono cavoli amari,
ma se la sorte ria
parla male di voi
è pura fantasia:
non sgarrano gli eroi.
Voi siete tutti bravi,
onesti e democratici,
noi siamo tutti schiavi,
disonesti e fanatici.
Quando cadde il fascismo,
capovolta la storia,
il vostro revanscismo,
con la solita boria,
creò la falsa logica
d’una priorità
persino antropologica
della vostra metà.
Per più di sessant’anni
ve la siete cantata
fra menzogne ed inganni.
Ora la serenata
non incanta nessuno:
anche i vostri misfatti
spuntano ad uno ad uno,
parlan le carte e gli atti.
Cessate, alla buon’ora,
d’esser così villani
da combattere ancora
con argomenti vani.
La politica è un gioco
dialettico fra opposti:
perché far fiamme e fuoco?
Siate meno scomposti.
L’ostinato ostracismo
che mina l’unità
è il vostro antifascismo
che solo odio ci dà.
Ormai da lunga pezza
fra noi non c’è pietà:
se il cerchio non si spezza
niente ci salverà.
Cadaveri, alle corte,
cessate di cantare:
con quelle bocche storte
non c’è niente da fare.
Tra i salmi dell’Uffizio
c’è anche il Dies irae:
o che non ha a venire
il giorno del Giudizio?
Pubblicato il: in Senza categoria.
Commenti: nessuno
Scrivi un commento