La terra dei beccamorti
La terra dei beccamorti
(Alla Sinistra italiana)
A voi, tarme d’Italia,
muffe dalla radice,
diede fiele la balia,
anzi, la levatrice.
Con voi spreca il Governo
parole di disgelo:
per voi c’è solo scherno,
questo è il vostro vangelo.
Poveri illusi, nati
dall’odio di Caino,
quali funesti fati
vi riserva il destino!
O anime malnate,
che ci fate quassù?
Andate via, tornate
nel numero dei più!
D’una siffatta gente
non si cura la Storia:
non si raggiunge niente
con l’astio e con la boria.
A voi non giova il mondo
delle oneste parole:
statevi giù nel fondo,
dove non batte il sole.
Incominciaste voi
nel primo dopoguerra,
insultando gli eroi,
prendendovi la terra,
inquinando i canali
e gli abbeveratoi,
massacrando animali,
mucche, pecore, buoi.
Gli altri vennero dopo,
muovendo alla difesa:
l’unico e solo scopo
era per voi l’offesa.
“Faremo come i russi!
Come Lenìn faremo!”:
questo, fra botte e bussi,
il vostro grido estremo.
Come già nel passato,
contrastando il destino,
spianavate il cammino
al ras di un altro Stato.
Fu questa l’atmosfera
in cui nacque il Regime:
altra strada non c’era,
non ci sono altre rime.
Poi, con astuzie ed arti,
liquidato il fascismo,
invertiste le parti:
eroi del vittimismo,
riscriveste la Storia,
capovolgendo i fatti,
mutando i savi in matti,
a vostra sola gloria.
Riempiste allo scopo
volumi su volumi,
faceste prima il dopo,
spargeste nebbie e fumi.
C’impartiste lezioni,
faziosi e sbrigativi:
voi tutti quanti buoni,
gli altri tutti cattivi.
Il vostro campionario
(i togati, i politici,
il regno letterario,
i giornalisti, i critici)
è tutto una morìa.
Pasolini è sparito,
Bea non si sa chi sia,
Guttuso è seppellito,
e tu, giunto alla frutta,
Tabucchi, come fai
a render così brutta
la vena che non hai?
Cos’è l’eterno Eugenio
che parlava “con io”?
Bersani non è un genio,
Santoro non è un Dio.
Quanto a Marco Travaglio,
che processa in diretta,
è una mezza calzetta:
il suo non è che un raglio.
Fa il moralista austero
il capo, provvisorio,
dell’unico pensiero
senza contraddittorio.
Come tutti i falliti,
il bagaglio portate
di vecchi e falsi miti,
e su quelli campate,
montando con l’inganno
sull’asse ereditario
dodici volte all’anno
il vostro anniversario.
La vostra civiltà
si vede dalla stampa
di quei signori là
che l’astio e l’odio avvampa.
Scrivi scrivi e riscrivi:
“Quei porci moriranno!”.
Ma loro restan vivi,
voi sempre nell’affanno.
Istigate, furenti,
il volgo ottuso e scemo,
e subito i dementi
compiono il gesto estremo.
O menti inacidite,
piovute qui per sbaglio,
con che boria venite
tra i vivi allo sbaraglio?
O sbirri inquisitori,
o grandi lestofanti,
che avete dei censori
le facce più arroganti,
che ci buttate addosso
treppiedi e cattedrali,
perché, fra il nero e il rosso,
non siamo tutti uguali.
Questo è stato l’inizio:
un giudice di razza,
con fare tribunizio,
sobillava la piazza:
“Io quello lì lo sfascio!”,
gridava, empio e blasfemo.
“Siamo allo scatafascio:
ci vuole un gesto estremo!”.
E tu, candida Rosy,
non dimostrasti affatto
sentimenti amorosi
per quel vile misfatto,
quando dicesti: “Quello
la vittima non faccia,
non si scaldi il cervello,
quel souvenir in faccia
se l’è proprio voluto.
E se questo non basta
ci metto anche cornuto”.
Donna pietosa e casta,
che esempio di saggezza,
d’amore e di bontà!
Mai giunse a tale altezza
la tua cristianità.
Ricordi? Da ministro
snobbavi l’avversario
e con l’occhio sinistro,
snocciolando il rosario,
come rosa da un tarlo,
gli dicevi stizzita:
“Io con te non ci parlo.
È chiusa la partita”.
Quell’altro, pari pari,
con la faccia da prete,
chiedeva agli avversari:
“Ma voi, che cosa siete?”.
Torna, prode guerriero,
nelle tue smorte file
con l’elmo e col cimiero
a roderti la bile!
Il libro di natura
ha l’entrata e l’uscita:
a chi tocca la vita,
a chi la sepoltura.
Voi, invece, pensate
di durare in eterno,
ma poi più non campate
che un’estate o un inverno.
Certo, fra voi ci sono
persone rispettabili,
un po’ più su di tono,
addirittura amabili:
democratici veri,
non amano gl’insulti,
hanno retti pensieri,
non fanno atti inconsulti,
non portano anche loro
il cervello all’ ammasso,
sono sempre al lavoro,
non fanno tanto chiasso.
A che giova gridare,
fare gazzarra, offendere?
Meglio con calma attendere
per poter governare.
Ma poi, cosa volete?
A conti fatti, voi
contate più di noi
nelle stanze segrete.
Sono in vostra balìa
i gangli più quotati
della burocrazia:
le scuole, i sindacati,
la stampa, l’edilizia,
lo sport, la sanità,
la buona società,
persino la Giustizia.
Ed è con questa, infatti,
che minate il potere,
inventando misfatti
tutti da rivedere.
Dite che la politica
non c’entra nei processi:
forse gli va un po’ stitica.
Ma noi non siamo fessi.
Spatuzza, Ciancimino:
così la cosa inizia.
E’ proprio un bel cammino
quello della Giustizia!
O giudici inquirenti,
che ogni giorno spiate
i nostri sentimenti,
la Giustizia, scusate,
non si dà in subappalto,
a pentiti e guardoni,
lei non corre all’assalto
con fucili e cannoni.
Dov’è l’autonomia
che voi tanto invocate?
Tra verità e bugia
voi vi barcamenate.
Che direste, o potenti,
se ciascuno di noi
gridasse ai quattro venti
ciò che pensa di voi?
Chissà quante boccacce,
quanti bei disegnini
sotto le vostre facce
vi fanno i cittadini!
Vi credete potenti,
e invece, a conti fatti,
siede degli impotenti
contro simili atti.
Avete fatto fuori
dal gioco democratico
con zelo burocratico
milioni di elettori.
E quando è intervenuto
il Capo dello Stato
vi è tanto dispiaciuto
che qualcuno ha gridato:
“S’impicchi il Presidente
che ha firmato il decreto!”.
Voi non capite niente,
nemmeno l’alfabeto.
In un tale frangente,
come di consueto,
c’è stato un deficiente
che in Rete, chéto chéto,
ha piazzato un cartello,
col Capo dello Stato
tra la falce e il martello,
che dice: “Questo è stato
uno dei comunisti!
E adesso, invece, avalla
le tesi dei fascisti!”.
Anche questa è una balla.
Si scavalca d’un balzo
il Capo dello Stato:
chi lo dà per spacciato,
chi lo lancia al rialzo.
Dopo l’Appello, il Tar,
ultima, la Consulta.
Sembra d’essere al bar.
La Legge si consulta:
“Conta più la Giustizia,
o la democrazia?
La forma, l’imperizia,
o la pignoleria?”.
Qui non c’entrano i voti,
altre sono le mire:
per i soliti noti
Silvio deve sparire.
Per fortuna che in piazza
c’è il popolo dei Viola:
“Prendiamo una ramazza!”,
grida un Savonarola.
E sullo stesso metro:
“Spazziamo il Presidente!”,
urla il solito Pietro,
paonazzo e furente.
Per loro è solo un gioco,
un gioco da bambini:
il Paese va a fuoco,
loro fanno i becchini.
Caduti nel marasma
per quell’atto “indecente”,
c’è chi, preso dall’asma,
dice che il Presidente
“non poteva non mettere
la firma sul decreto”.
O uomini di lettere,
qual è il vostro segreto?
Oltre all’improntitudine
avita di mentire,
avete l’abitudine
di dire e di non dire.
Siete i sostenitori
delle litoti, quelli
che invece di “bidelli”
dite “non professori”,
che chiamate gl’inabili
“diversamente abili”
e i precari “non stabili”.
Siete degli ineffabili.
Vi dite progressisti
e siete proprio voi,
retrivi e disfattisti,
che predicate a noi;
che in pratica, scusate,
non volete il progresso
e con tali minchiate
fate il popolo fesso.
La vostra strategia
ogni governo ammazza:
ostruzionismo, piazza,
tribunali, anarchia.
Voi volete il dialogo,
ma soltanto a parole,
o col vostro decalogo.
E’ chiaro come il sole.
Denunciate l’azzoppo
del Parlamento, e poi
gli create ogni intoppo:
tiranni siete voi!
Cavalcate gli errori
del G8 e l’Abruzzo;
fate come lo struzzo,
non vedete il di fuori.
Quando scoppia un malanno
come si può si fa.
Nel Ventennio in un anno
sorsero due città.
L’Italia grazie a voi
è un paese allo stallo:
sempre davanti a noi
il semaforo è giallo.
Vi vantate custodi
della Costituzione,
ma intanto in tutti i modi
cercate il ribaltone.
Parlate di futuro,
del sol dell’avvenire.
A questo punto, giuro,
io non so più che dire.
Cadaveri, alle corte,
cessate di cantare:
con quelle bocche storte
non c’è niente da fare.
tra i salmi dell’Uffizio
c’è anche il Dies irae:
o che non ha a venire
il giorno del Giudizio?
Marzo 2010
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