Suonetti
“Suonetti”
(alla rinfusa, in via di sistemazione)
VUOTI A PERDERE
La Chiesa si vende per 30 danari
O Chiesa nostra che non stai nei cieli,
una volta vendevi le indulgenze
e il corpo tuo lascivo e senza veli,
oggi, per scarsità di provvidenze,
vendi i tuoi templi privi di fedeli.
Così tu disamori le coscienze
e disonori il Verbo dei Vangeli.
Sono queste le tue benemerenze?
Dopo la folle e ignobile pretesa
di strapparci la croce dalle mani,
questa è davvero la più grande offesa
fatta alla nostra fede: i musulmani
riempiranno il vuoto di una Chiesa
che va perdendo sempre più cristiani.
28.11.2009
Alle “anime belle”
della politica e della cultura
Ora, anime belle, elette menti,
la smetterete con la vecchia storia
che siete solo voi gl’intelligenti,
che solamente a voi tocca la gloria
dei bravi, degli onesti e dei sapienti.
E’ finita, miei cari, la baldoria:
ora tremate e digrignate i denti.
Sono i corsi e i ricorsi della Storia.
Per tanti lustri avete fatto i pazzi,
sprecando il tempo fra dileggi e scherni,
satire oscene e ignobili sghignazzi.
Vi credevate di durare eterni!
Ora basta. Svegliatevi, ragazzi:
vi aspettan duri e faticosi inverni.
15 aprile 2008 (notte)
***
Di Pietro 2
Caro Di Pietro, non mi sei piaciuto
nell’ultimo Otto e mezzo della 7
sui misteri d’Italia: linguacciuto,
scagliavi tuoni, fulmini e saette.
Non sei settario, dici, o prevenuto:
ma poi fai come il noto ammazzasette
o il bue che dice all’asino cornuto.
Ma vuoi mettere a tutti le manette?
Non mi sembri davvero un bel ritratto
della Giustizia. Il buon Socrate, ahimè,
soleva dire dopo il gran misfatto:
“Non rimprovero i giudici perché
m’han condannato, ma perché l’han fatto
con cattivera”. Vale anche per te.
10 luglio 2007
*
Un lingotto di fumo
“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi, di antico”. O forse non c’è niente.
Walter ha speso un fiume di parole,
belle, ma vuote: o “vive altrove, e sente
che sono intorno nate le viole”,
oppure bluffa consapevolmente.
Ha fatto, bontà sua, tante capriole,
ma stringi stringi non ha detto niente.
Quella al Lingotto è stata un’orazione
fuori luogo, per menti ottuse e sorde.
Se guardiamo alla lettera, “veltrone”,
più che un cane, è un “gran veltro”, ma discorde
è dal Veltro dantesco il suo blasone.
Non ne ha la stoffa: can che abbaia non morde.
*
Quousque tandem, Visco, abuserai
della nostra pazienza? Sino a quando,
con tutto questo putiferio, andrai
menando il can per l’aia, zampettando
come fanno i galletti nei pollai?
“Se fosse tutto pieno il mio dimando”,
nonostante le arie che ti dài,
saresti già da tempo posto in bando.
Per toglierti dai piedi, dico io,
ci vuole una notifica speciale
o l’intervento di Domineddio?
Non ti basta il giudizio universale?
Sbrigati a far fagotto, cocco mio,
se non vuoi ruzzolare per le scale.
*
Sismi
“Così nel mio parlar voglio esser aspro”
con quei tronfi politici e compagni
che come i rospi nei melmosi stagni
gracchiano in modo livoroso ed aspro
gonfiando il corpo limaccioso ed aspro,
gli occhi ingrossati, lividi e grifagni.
Adesso, poi, questi spiriti magni,
il cui cammino è sempre mai più aspro,
han tratto fuori dal cilindro il Sismi,
per delegittimare gli avversari.
Così, tra balle e falsi sillogismi,
visto che gli equilibri son precari,
s’inventano derive e cataclismi.
Ma saranno, anche qui, cavoli amari.
*
Cari ministri del governo Prodi,
dalla Giustizia agli Esteri, agl’Interni,
non si sa cosa voglia e dove approdi
la politica vostra. A giorni alterni
siete scolapasticci e colabrodi.
Pieni di spocchia, vi credete eterni:
non c’è fallo o vergogna che vi schiodi
dai vostri scranni, pur fra tanti scherni.
“Voi siete or qui, pensate alla partita”,
come dice il Poeta: presto o tardi
avrete pure voi la buonuscita.
Non fatemi perciò tanto i boiardi,
visto che tutto il popolo vi addita
come un branco d’inetti e di bugiardi.
*
Salute a te, Tommaso Padoa Schioppa,
grande vampiro dell’Economia!
Il tuo cervello di continuo intoppa
e dà sicuri segni di pazzia.
Prima dici che il debito galoppa,
che la miseria ci si porta via,
poi che il Paese di salute schioppa:
dove sta, dimmi un poco, la bugia?
Ti morde riconoscere l’errore
di aver gettato in tutti il malcontento?
L’Italia, in breve, è come un ascensore,
che va su e giù con gran sommovimento,
e cambia di livello a tutte l’ore,
secondo il guidatore del momento.
A Romano Prodi
Romano, che governi la nazione
con una maggioranza che non c’è,
il gran mago tu sei dell’illusione,
quale al mondo nessuno non ce n’è.
Con quel rassicurante tuo faccione,
con quel tuo chioccolante coccodè,
hai tratto fuori, senza esitazione,
quel gran vampiro che dormiva in te.
Tassisti, farmacisti, panettieri,
enti, famiglie, ditte e società:
hai risparmiato solo i salumieri,
per convenienza e per affinità.
Solo se te ne vai, siamo sinceri,
ci potrai dare la felicità.
*
All’Uomo dei Valori
Unico e impareggiabile Di Pietro,
la tua scenata in piazza per l’Indulto
ha dato agl’Italiani il giusto metro
del tuo valore di giureinconsulto.
E dire che per te qualche anno addietro
la gente aveva un vero e proprio culto:
limpido e trasparente come il vetro,
della Giustizia eri il più bel virgulto.
Allora ti togliesti quella toga
per non cedere ai furbi ed ai furbetti,
oggi il tuo nome nel grottesco affoga,
e fai pure al Governo gli sgambetti.
La tua notorietà non è più in voga.
Da’ retta a me: perché non ti dimetti?
*
Esimia dottoressa Paola Muti,
neo sostituta del dottor Cognetti,
permetta che d’istinto io La saluti
con uno dei miei sapidi “suonetti”.
I suoi dati mi sono sconosciuti,
né conosco i suoi meriti e difetti,
ma sul collega non mi son piaciuti
i suoi giudizi presuntuosi e gretti.
Ministro in quota rosa, Livia Turco,
forse per via di questo afoso agosto,
fa, come si suol dir, cose da turco.
Nel piazzare gli amici in ogni posto
questo pseudo governo è così lurco
che non distingue il fumo dall’arrosto.
*
Amabile signora Turco Livia,
roseo ministro della Sanità,
nel vederti non so quale lascivia
pervade i sensi miei. La tua beltà,
chissà perché, mi fa pensare a Trivia,
l’arcuta dea che sempre a caccia va:
nei verdi prati della valle Scrivia
donna di te più bella non ci sta.
Ma per quel che riguarda la Salute
purtroppo lasci un po’ a desiderare,
perché a vederti, intus et in cute,
cocchina mia, non fai bene sperare.
Se continui così solo le mute
negli ospedali andranno a lavorare.
*
Onorevole Massimo D’Alema
esimio presidente dei Di Esse,
tu sei della politica l’emblema.
Quando la lingua tua vibrando tesse
quei bei discorsi il Parlamento trema,
e non ci sono santi né badesse,
l’incanti come il pifferaio di Brema.
Ora, se queste sono le premesse,
per una giusta e decorosa fine
ti meriti, a dir poco, il Quirinale.
La vanagloria tua non ha confine:
se con Icaro vai per l’alto sale
e cammini con scarpe sopraffine,
ti spetta a buon diritto lo Stivale.
*
A John Woodcock
Pubblico ministero John Woodcòck,
il tuo strano processo clandestino
tutto il Paese ha messo sotto shock,
generando nei media un gran casino.
Tu ti credi di fare il gran Molòc,
mentre invece sei solo un potentino
che pretende di avere l’hic e l’hoc
guardando il mondo dallo spioncino.
“Non ch’io mi voglio fare i fatti suoi:
lei qui si trova come in un sacrario,
quello che dice resterà fra noi.
Mi reciti perciò tutto il rosario.
C’è andata a letto: ma che ha fatto, poi?”.
Ah John, ma vatti a fare un solitario!
*
Vice ministro ai Beni Culturali,
non mi sembra che tu sia tanto Bono.
Mi avevi detto tempo addietro: “Sali
da me domani: al tuo servizio sono”.
Ho presentato le mie credenziali
al segretario tuo, che pure è buono
solamente di nome, dalle quali
risulta quel che sono stato e sono.
Non chiedevo per me una sinecura,
chiedevo solo di poter giovare
alla cultura con la mia CULTURA.
Ho aspettato sei mesi un benestare,
finché m’han presentato la fattura,
dicendo: “Abbiamo altro da pensare!”.
*
Caro Vauro, che tanto ti scalmani
quando parli, la tua sgradevolezza,
fra tanti patentati ciarlatani,
è pari alla tua grande sfrontatezza.
Tu sostieni che “prima i Talebani
stavano perlomeno in sicurezza”.
Anche sotto il Fascismo gl’Italiani;
anzi, nessun regime a tale altezza
di fortune è mai giunto e di consenso.
Quello che dici è dunque una scemenza.
Voialtri siete tutto un controsenso:
oltre che quello dell’equivalenza
e della Storia, non avete il senso
del ridicolo e della coerenza.
*
ZERO IN CONDOTTA
Spalleggiato dal tuo fazioso coro,
il difensore fai della Giustizia,
insolentendo senz’alcun decoro.
Con tutta la tua foga tribunizia,
il tuo travaglio e la montagna d’oro
di mamma Rai che sempre più ti vizia,
pur se scalci e muggisci come un toro,
ti si vede sul volto l’itterizia.
Credimi, quando parti a briglia sciolta,
menando a dritta e a manca il tuo staffile,
fai solo pena: è a te che si rivolta
il sangue e si rimescola la bile:
per chi ha senno ed equanime ti ascolta
le tue son solo beghe da cortile.
* * *
Fra tutti i giornalisti allo sbaraglio
tu sei nel mondo dell’Informazione
come un cane che va senza guinzaglio
abbaiando e mordendo le persone.
Ma credi a me: con tutto il tuo travaglio,
quando offendi così, senza ragione,
la voce tua sembra piuttosto un raglio,
né ti vale la pelle del leone,
come al somaro di cui parla Esòpo.
Fai tanto il giustiziere e il saputello
e credi di raggiungere lo scopo
con i tuoi scoop. Ma bada, coccobello,
non far come la rana: prima o dopo,
finisce che ti scoppia anche il cervello.
*
Un “suonetto” anche a voi, sinistre Muse
della satira. O dire e crude Parche
del linciaggio morale, al lezzo aduse,
io più non vedo il lauro ond’eran carche
le vostre fronti: ormai si sono chiuse
le cateratte e meno ancor che parche
siete di flauti, cetre e cornamuse.
Vecchi tromboni o livide aristarche,
voi eravate solo i burattini
di una gretta e malevola politica,
fatta di sputi e d’insulti meschini.
Ora la fantasia vi va un po’ stitica,
ma, grazie a Dio, c’è sempre Forattini,
che assai meglio di voi parla e pontifica.
****
IL RE TROVATELLO
Il Re Trovatello, che tanti ranocchidi scarso cervellocon tocchi e ritocchihan posto sul trono,per quanto sia buono,non sembra più degnodi un pezzo di legno. Ascese, il regnante,con grande fracasso,ma mai governantediscese più in basso:confuso si giacquein torbide acque,fra i tiri sinistridi tanti ministri. Vedendo le rissedel suo condominio,la gente si disse:“Che bel patrocinio!Quest’uomo è l’Altezzache tanta grandezzaci ha fatto sognareper farsi votare?”. Nel grande palazzodal vento portato,non è che un pupazzoil Re dello Stato.I suoi conviventi, boriosi e scontenti,han mosso le stelleper fargli la pelle. Ma ora che un Bresciattenta al suo regno,fuor d’acqua, quei pescisi dànno convegno,lanciando la sfidaa quel regicidache leva la mano sul loro sovrano. Se infatti lui muoreva in fumo l’arrosto.Così, per timoredi perdere il posto,quel branco discorderitorna concorde.Che grande cervello un re Trovatello!
*
NOI TIREREMO STORTO
Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta,ma il prode Romano già perde la testa.La sua maggioranza la cifra non ha,non pare, non sembra che ce la farà.Nel corpo cangiante del Centro-Sinistroc’è più di un ministro che addosso gli dà.Romano, mi senti? Non vedi che i tuoiti han tolto la palla? Che dalla tua stallagià fuggono i buoi, le vacche, le capre,le pecore, i cani? La Grande Famiglia di già si scompiglia, per via si sparpaglia, nel gran parapiglia c’è già qualche quaglia che salta di là. Ma lui non si scolla: scuotendo la testa da destra a sinistra, lo Stato amministracon gran sobrietà.Seguendo a puntino la legge del pendolo,rifugge dal centro, non già per viltà,ma per l’equilibrio che solo può darela tattica scaltra dell’ambiguità.Così, pendolando, si muove transversotoccando via viai vari segmenti dell’arco fatal,cedendo un po’ qua, cedendo un po’ là,secondo gli aut aut dei venti partitiche formano il clou dell’itala gens.Che cuore, che mens! Che Unione, fratelli!Si mettono insieme felici e contenti,dividono i posti, gli uffici, i proventi,il bianco si mesce col rosso e col verde,non c’è più chi vince, non c’è più chi perde.Poi, tutto ad un tratto, sollevan la testa, si guardano torvi, digrignano i denti, si fanno a vicenda ciascuno la festa,ciascuno imponendo la sua volontà. L’immagine è questa di un Centro-Sinistro,che patria, famiglia, che nome non ha.
IL PRODE ROMANO
“Sono flessibile, duttile, elastico, so contraddirmi sino allo spasimo, se Bertinotti mi fa il forastico gli dico no, poi faccio sì.Sono, in Italia, giocondo e amabile, il Don Abbondio della politica, la maggioranza mi va un po’ stitica, ma che mi fa, ma che mi fa?Col mio faccione da pizzicagnolo io tranquillizzo, rincuoro il popolo, ma sotto sotto sono Lucifero, pungo di qua, pungo di là.Se un terremoto, se una catastrofe distrugge un pezzo della penisola, col mio sorriso racqueto gli animi: tutto va ben, tutto va ben.Sono il vampiro della politica: fra tasse e imposte vado imperterrito succhiando il sangue al volgo ignobile senza pietà, senza pietà.Incerto, instabile, precario, eccentrico, non seguo un metodo, non ho didattica, perciò mi dondolo con molta tattica un po’ di qua, un po’ di là.Contro la logica della dialettica, in cui convivono gli opposti termini, il Centrodestra non lo considero:lo schiaccerò, lo schiaccerò.La maggioranza non ha più i numeri? Fausto minaccia, fa tuoni e fulmini? Raccatto voti dovunque capiti: non cascherò, non cascherò.Se mi sfiduciano vado da Scalfaro,il salvatore della repubblica, tanto è sicuro che come al solito mi salverà, mi salverà.Intorno a me tutto si sgretola, crolla la lira, la gente mormora, a catafascio va la repubblica, io resto qua, io resto qua”. Che bell’immagine, che bella musica, questa è l’Italia, questo è il miracolo: sempre sull’orlo della voragine, non cade mai, mai non cadrà. 1997
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